Gastrectomia non necessaria ! risolto dai legali con un risarcimento ottenuto dopo 18 anni dall’intervento chirurgico

Gli Avvocati Lucia Paola Terlizzi e l’Avv. Francesco Querci del foro di Prato ed Avellino Ottenevano nel 2024 dopo il giudizio di Appello un risarcimento di 520000,00 da responsabilità medica. oltre spese legali. Causa avviata nel 2018 per ottenerne i danni subiti – danno biologico permanente, danno da invalidità temporanea e danno patrimoniale – a seguito dell’intervento chirurgico di gastrectomia totale per l’asportazione di un linfoma gastrico in fase avanzata nel 2006. (Corte di Appello di Firenze, sentenza 2024).

PRIMO GRADO DI GIUDIZIO

  1. I fatti di causa e le domande proposte per la responsabilità medico.

A sostegno della sua pretesa, il paziente contestava alla struttura ospedaliera:

  1. di aver omesso di approfondire, prima dell’esecuzione dell’intervento, lo stadio della malattia e il relativo approccio terapeutico (essendo in particolare mancato il completamento della stadiazione della biopsia osteomidollare ed il coinvolgimento del medico oncoematologo);
  2. di aver effettuato in via d’urgenza un intervento chirurgico di gastrectomia molto delicato (che aveva inciso negativamente sulle sue condizioni di vita) senza verificare se esistevano altre possibilità terapeutiche, alternative o intermedie, da seguire prima dell’intervento e/o in sostituzione di esso, atteso che, già da tempo, nella cura dei casi di Linfoma non Hodgkin a grandi cellule B, qual era quello di specie, erano utilizzati i c.d. farmaci intelligenti (anche in combinazione con le tradizionali cure chemio, radio o ormonoterapiche), capaci di colpire selettivamente le sole cellule tumorali, al contrario della chirurgia che invece era da considerarsi “inutile, dannosa e mutilante”;
  3. di aver omesso di fornirgli una completa informativa relativamente alla natura dell’intervento, alla possibilità di cure alternative e alle conseguenze, certe e anche eventuali, che dall’intervento sarebbero derivate, così ledendo il diritto all’autodeterminazione del paziente ed in particolare il diritto alla libera scelta delle cure, consacrato dalla Carta Europea dei Diritti del Malato approvata a Bruxelles il 15 novembre 2002; specificava che la sua patologia avrebbe dovuto essere trattata già all’epoca dei fatti con la sola chemioterapia, meno invasiva e priva di postumi invalidanti, mentre in sede di acquisizione del consenso informato la chemio non gli era stata neppure prospettata quale possibile alternativa terapeutica.

L’attore evidenziava quindi che a seguito dell’intervento chirurgico in questione era divenuto totalmente invalido, aveva patito uno sconvolgimento della propria vita di relazione ed era stato costretto ad abbandonare la propria attività professionale di psicoterapeuta.

L’azienda si costituiva, contestando sia l’an che il quantum debeatur

In particolare, deduceva che:

  • nel 2006 non esistevano Linee Guida sul trattamento dei linfomi gastrici primitivi a grandi cellule ad alto grado di malignità ed era discussa l’efficacia della chemioterapia quale valida alternativa alla chirurgia nel trattamento dei linfomi in generale;
  • comunque, la scelta dei sanitari a favore dell’opzione chirurgica era necessitata dall’esigenza di prevenire pericolose complicanze (emorragie e perforazioni) che avrebbero potuto molto probabilmente manifestarsi alla luce degli esiti endoscopici;
  • Il paziente risultava guarito clinicamente dalla neoplasia, per cui il trattamento chirurgico non aveva inciso sulle chances di sopravvivenza e/o di guarigione;
  • l’ospedale aveva informato compiutamente il paziente, e ad ogni modo era onere del medesimo dimostrare che laddove fosse stato ulteriormente informato avrebbe rifiutato
  • l’intervento e si sarebbe sottoposto a chemioterapia o a radioterapia, esponendosi all’elevato rischio di insorgenza di complicanze ad alto tasso di mortalità.

Il tribunale nel 2021, respinta l’istanza della convenuta di rinnovo della ctu (perché l’accertamento era stato condotto nel rispetto delle metodologie del caso e più volte sottoposto ad esame e critica), ritenuta la malpractice ed affermato che l’intervento chirurgico, che non avrebbe dovuto essere eseguito, aveva determinato postumi nella misura del 60% ed un periodo d’invalidità temporanea assoluta di giorni 30, ha escluso che fosse ravvisabile un danno patrimoniale e condannato la convenuta a corrispondere all’attore la somma di € 433.331,00 (oltre interessi ed accessori a titolo di danno non patrimoniale) e le spese legali (responsabilità medica).

IL GIUDIZIO DI APPELLO (responsabilita medica o sanitaria)

L’ospedale ha appellato tale sentenza facendo valere tre motivi d’impugnazione:

  1. erronea motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui il giudice ha riconosciuto validità, efficacia e attendibilità ad una ctu inficiata da gravi errori metodologici e contenutistici, sotto il profilo logico e scientifico, nonché per aver il giudice affermato erroneamente che i ccttuu avessero risposto alle osservazionicritichesollevatedall’ospedale e omesso di disporrei lrinnovo della consulenza tecnica d’ufficio, e dunque essere giunto  erroneamente  ad  affermare  la responsabilità dell’Ospedale. Secondo l’appellante, il primo giudice aveva errato nel ritenere che i CCTTUU avessero individuato le linee guida corrette e applicabili al caso di specie, ad affermare la predittività ed efficacia della PET in relazione ai linfomi gastrici a grandi cellule e ad affermare la necessità di eseguire in prima battuta la biopsia osteomidollare “cosiddetta BOM” ai fini della stadiazione del tumore, sia perché tale esame non era specifico per il tipo di neoplasia, sia perché comunque esso era stato effettuato dopo l’intervento non rilevando infiltrazioni tumorali a livello di midollo osseo, cosicché l’omissione preventiva non aveva comunque alcuna rilevanza causale; inoltre, la stessa ctu aveva affermato che con tumori in stadio IIIE-IVE, qual era quello del pziente, si ottenevano sopravvivenze più lunghe con lo schema inverso (chirurgia seguita da chemioterapia), e dunque era contraddittoria la conclusione dei periti in punto di malpractice; infine, il Collegio peritale aveva anche sovrastimato l’entità dei postumi.
  2. erronea motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato la responsabilità fondandosi sulle risultanze di una consulenza affetta da gravi vizi logici ed argomentativi, con violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1176, 1218, 1228 e 2236 c.c.: secondo l’appellante, erroneamente il tribunale aveva valutato l’operato dei sanitari basandosi su una sola linea guida, neppure pertinente al caso specifico e americana (trattandosi di linea guida pubblicata negli USA nel marzo 2006 e non recepita dalle Società Scientifiche Italiane/Europee al momento della scelta chirurgica), senza considerare il ben più cospicuo numero di pubblicazioni citate dall’Ospedale (omissi). Non solo, dal complesso dell’istruttoria era risultato che la scelta tra l’opzione chirurgica e la chemioterapia presentava profili di elevata complessità, ex art. 2236 c.c., e che comunque il paziente era guarito dalla neoplasia, laddove tale esito sarebbe stato tutt’altro che scontato in caso di chemioterapia.
  3. ERRONEITÀ, INESATTEZZA ED ILLOGICITÀ DELLA SENTENZA NELLA LIQUIDAZIONE DEI DANNI NON PATRIMONIALI RICONOSCIUTI infine, considerato che non solo il paziente era sopravvissuto ad una grave patologia neoplastica, ma era anche in discrete condizioni di salute, considerata l’età, e finanche in sovrappeso, ciò che escludeva problemi di malassorbimento, al massimo potevano essergli riconosciuti postumi pari al 36%.

Il primo motivo d’appello e la questione medico-legale.

Il presente procedimento trae origine dalla vicenda del paziente che, in data 30/04/2006, accedeva al Pronto Soccorso a causa di una epigastralgia indipendente dall’ingestione di cibo. Successivamente, su consiglio medico, eseguiva una endoscopia che evidenziava una vasta lesione ulcerosa che occupava tutto l’angulus. Conseguentemente venivano effettuate biopsie multiple. All’esito dell’esame istologico, veniva rilevata la presenza di un linfoma “Linfoma non Hodgkin di alto grado diffuso a grandi cellule B. I risultati mostravano anche la presenza di linfonodi di dimensioni non definite sospetti per la malattia.

I sanitari procedevano dunque ad effettuare un (obiettivamente invasivo) intervento chirurgico di “Gastrectomia Totale, con linfoadenectomia regionale e tripode celiaco metastasectomia e subsegmento epatico e splenectomia, ricostruzione esofago-digiunale con ansa alla Roux”, senza sottoporre il paziente ad una preventiva valutazione oncoematologica né completare la stadiazione del tumore con esame PET e biopsia osteo midollare. .

A tali conclusioni, peraltro, è giunto anche il Collegio peritale in primo grado (e, sulla scorta della perizia, il tribunale), ritenendo che i sanitari pesciatini non avessero valutato adeguatamente la malattia prima di procedere chirurgicamente e che secondo le linee guida già all’epoca vigenti avrebbero dovuto propendere per un approccio terapeutico di tipo chemioterapico.

Col suo primo motivo d’appello, la struttura sanitaria ha criticato la sentenza impugnata nella parte in cui aveva recepito le suddette risultanze peritali, tra l’altro deducendo che i ccttuu non avevano individuato le linee guida corrette e applicabili al caso di specie.

Tale doglianza è già state positivamente scrutinata da questa Corte che, condividendo la necessità di meglio comprendere se all’epoca dei fatti vi fossero Linee Guida nel senso della preferenzialità del trattamento chirurgico piuttosto di quello chemioterapico, nel caso specifico e nelle condizioni dell’appellato (affetto da DLBCL CD10- primitivo allo stomaco), ha disposto un supplemento di perizia, nominando Ctu l’Oncologo

Occorre dunque, alla luce del supplemento di perizia, passare al secondo motivo d’impugnazione, valutando se sussista, o non, la dedotta responsabilità della struttura sanitaria.

Il secondo motivo d’appello.

Con motivazione che in quanto logica, coerente e di puntuale replica alle deduzioni delle parti, ha così argomentato: “Il pazientenon era stato stadiato correttamente per il linfoma gastrico NH a grandi cellule, era stato definito come uno stadio precoce I-II e conseguentemente trattato con una strategia congrua e consona alla letteratura del tempo per gli stadiIe II, ma errata per il reale stadio in cui sitrovava realmente al momento del ricovero (IV S).

Non esistevano i criteri clinici d’urgenza (sanguinamento, perforazione ecc) per una decisione chirurgica affrettata che non aveva i cardini in una corretta stadiazione.

Gli esami proposti e non eseguiti per una corretta stadiazione, erano tutti disponibili come già detto nel SS della regione Toscana e facilmente accessibili (PET, RM, BOM ecc). Almomentodeifattinonsonoreperibililineeguida2000-2005sull’argomento, che comunque avrebbero avuto un ruolo contestabile per non essere state accreditate da organisanitaricomeMinisterodellaSaluteoAssessoratiallaSanitàRegionaliaquel tempo.

Tuttavia pur in assenza di linee guida, abbiamo una mole di letteratura scientifica che se analizzata definisce in modo chiaro ed inequivocabile la strategia per il IV stadio già dalla fine degli anni ‘90: trattamento chemioterapico + Rituximab (dal 2003) +/- radioterapia.

La sopravvivenza e l’intervallo libero di malattia utilizzando la chirurgia e la successiva chemioterpia sono stati sovrapponibili a quelli ottenibili con la sola chemioterapia per lo stadio IV: sopravvivenza 16 anni senza recidiva.

D’altra parte sulla base della letteratura e delle conoscenze biologiche dei linfomi possiamo asserire che il trattamento che ha avuto un ruolo fondamentale per la guarigione è stata sicuramente la chemioterapia+Rituximab, eseguita successivamente come “rescue” dell’evidente errata indicazione chirurgica non idonea a raggiungere una remissione completa.

Ad oggi, la strategia per il linfoma gastrico NH a larghe cellule, IV stadio, rimane lostesso del 2006 e non si hanno evidenze, anche sperimentali, di trattamenti di linfomi gastrici NH con le stesse caratteristiche del caso in oggetto trattati con chirurgia delle lesioni metastatiche agli organi addominali (fegato) e dello stomaco seguiti da chemioterapia. Il razionale alla base del rifiuto scientifico di un trattamento locale (chirurgia) per il IV stadio è basato sul concetto che negli stadi avanzati del linfoma gastrico NH a larghe cellule questo ha una diffusione sistemica per la quale è quindi indicato solo un trattamento sistemico chemioterapico con l’eventuale aggiunta della radioterapia per consolidare sedi che non dovessero raggiungere la risposta completa.

Il danno subito dal paziente, consistente pertanto nell’aver ricevuto una chirurgia non assolutamente indicata per il IV stadio, stadio che non era stato attentamente definito secondo le basi elementari oncologiche di stadiazione, che ha comportato la rilevante perdita dell’organo (stomaco) e da cui derivano possibili complicanze abreve e lungo termine che la gastrectomia comporta, come ampiamente riportato in letteratura e della splenectomia conseguente alla asportazione dello stomaco (splenectomia tecnica).

Quest’ultimo aspetto (asportazione della milza) può esporre il paziente a potenziale permanente rischio di infezioni come descritto in letteratura, sia dalpunto di vista immunologico per la mancanza del filtro splenico con un rischio di infezioni da germi capsulati elevato, tra l’altronon sappiamosefu praticata, prima dell’intervento, una profilassi vaccinale per il rischio infettivo acuto post splenectomia.

Pertanto il trattamento che il paziente ha ricevuto per il linfoma NH gastrico è stato caratterizzato da: un over-treatment” chirurgico, non indicato dalla letteratura e verosimilmente inutile, scaturito da una incompleta stadiazione clinica del linfoma gastrico a grandi cellule B (CD20+) per omissione di esami diagnostici edperilmancatoconsulto interdisciplinare; le indicazioni della letteratura per il reale e corretto IV stadio erano consolidate da lungo tempo al momento deifatti (2006) e disponibili, come documentato e riportato nella discussione enella bibliografia allegata”.

Se anche, dunque, è vero che quelle indicate dal Collegio peritale di primo grado non erano tecnicamente Linee Guida, risulta però confermata, da un canto, l’inutilità del massiccio intervento chirurgico – nel senso che ad aver consentito la sopravvivenza del paziente non è stata l’asportazione dello stomaco e della milza, ma la chemioterapia

associata alla somministrazione di Rituximab – e dall’altro che all’epoca dei fatti, già da anni, gli studi erano orientati verso un approccio solo farmacologico.

Intanto, il Ctu ha evidenziato che, se anche, effettivamente, per il caso in esame non vi erano Linee Guida sull’argomento (omissi) – vi era, però, già all’epoca dei fatti (addirittura, già dalla fine degli anni ’90), ampia ed univoca letteratura scientifica, che indicava in modo chiaro ed inequivocabile la strategia per il IV stadio.

Se all’epoca era ancora dibattuto il ruolo da attribuire alla chirurgia nella cura dei linfomi gastrici negli stadi precoci, nel caso in esame non si trattava affatto di uno stadio precoce, ma di uno stadio avanzato – in particolare di un linfoma a grandi cellule CD20+ e IV stadio – e dunque (per usare le parole del ctu) “nel 2006 qualsiasi onco- ematologo avrebbe dato indicazione per un iniziale trattamento chemioterapico eventualmente seguito o integrato dalla radioterapia”.

Il Ctu ipotizza che i sanitari abbiano errato nella stadiazione, attribuendo al tumore un grado I o II, anziché IV, a causa della omessa effettuazione di esami pure PET, RM, BOM, necessari per una corretta stadiazione – che, pure, ha sottolineato, erano tutti disponibili nel SS della Regione.

(omissi)

La deduzione della struttura sanitaria secondo cui essa non dovrebbe rispondere dei danni perché il tumore del paziente era raro e la scelta dell’approccio terapeutico era di speciale difficoltà – e dunque, tanto più in difetto di accreditate Linee Guida, dovrebbe applicarsi l’esimente dell’art. 2236 c.c. – è suggestiva, ma infondata.

E’ plausibile, infatti, che per un chirurgo, non specialista dei linfomi, scegliere il corretto approccio terapeutico ad un linfoma anche piuttosto raro rappresentasse un problema tecnico di particolare difficoltà, ma proprio per questo egli avrebbe dovuto consultarsi con un oncologo, tanto più che non c’era alcuna urgenza d’intervenire che lo impedisse.

Sono, dunque, proprio tali superficialità ed imprudenza a fondare – unitamente all’errore nell’approccio terapeutico – la responsabilità dell’appellante.

Il danno conseguente la scelta chirurgica, poi, è evidente: poco importa che paziente abbia avuto salva la vita, perché, come evidenziato dal Ctu, anche col trattamento chemioterapico associato al Rituximab (ed eventualmente anche alla radioterapia) vi sarebbero state esattamente le identiche probabilità (molto elevate) di sopravvivenza sul lungo periodo e senza recidiva.

Neppure è a dire che l’intervento abbia, almeno, evitato al paziente la chemioterapia, posto che il medesimo si è comunque dovuto successivamente sottoporre a tale trattamento, associato al Rituximab.

Che, infine, il vivere senza stomaco e senza milza sia fortemente invalidante è concetto intuibile persino dai non addetti ai lavori, e che verrà meglio sviluppato sub 4, in sede di quantificazione dei postumi.

Seppur emendando in parte la motivazione, la sentenza di primo grado merita quindi piena conferma in punto di an debeatur.

  1. Il terzo motivo d’appello: la quantificazione del danno.

Non è in contestazione che secondo Bargagna la gastrectomia totale può collocare la menomazione in classe IV (36-60%) o in classe V (>60%) a seconda della compromissione dello stato del soggetto, di talché la percentuale del 60% indicata dal collegio peritale di primo grado si pone in tale range in una collocazione media, tenendo conto che in classe IV sono collocate anche le mere gastroresezioni, cui elettivamente dovrebbe rivolgersi la minor quantificazione.

Secondo, poi, la più recente pubblicazione, sotto l’egida della Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni, “Linee guida per la valutazione medico-legale del danno alla persona in ambito civilistico”, la gastrectomia totale si colloca, ex se, tra il 61 e il 75%.

Dunque, considerato che il paziente fu sottoposto dai sanitari anche a splenectomia (asportazione della milza), la percentuale del 60% non appare affatto eccessiva.

Che, poi, l’appellato sia in discrete condizioni di salute parrebbe da escludere, visto che il medesimo prima, ……2010, è stato riconosciuto persona handicap in situazione di gravità e poi, in data …..2011 (v. doc. f, Commissione Invalidi Civili), è stato riconosciuto invalido al 100% con voci di diagnosi collegiale accertate all’unanimità e ciò anche in considerazione del fatto che a causa dell’intervento di gastrectomia e linfoadenectomia splenica per cui è causa ha riportato una dumping syndrome (la dumping syndrome, nota anche come sindrome da svuotamento rapido o sindrome di dumping, è una possibile complicanza degli interventi chirurgici allo stomaco o all’esofago; si caratterizza per il passaggio troppo veloce del cibo all’interno dell’intestino tenue, con conseguente riduzione dell’assorbimento vitaminico).

Dunque, il fatto che in concreto il paziente non abbia perso peso non significa affatto che sia in discrete condizioni di salute, tanto più che proprio tale malassorbimento di alcune sostanze (quale ad esempio la vitamina B) comporta neuropatie, acclarate nel caso dell’appellato.

(omissis)

Conclusivamente, la sentenza di primo grado dev’essere, nella sua portata dispositiva, integralmente confermata (seppur sulla scorta del supplemento di ctu espletato in questo grado).

P.Q.M.

La Corte di Appello respinge l’appello; condanna l’appellante a corrispondere all’appellato le spese di lite dell’appello, oltre rimborso spese generali, iva e cap; dispone che le spese della ctu espletata in questo grado gravino in via definitiva sull’appellante (risarcimento danni di €433.00 oltre interessi dalla data dell’intervento)

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